Il 29 Agosto 1944 il paese venne distrutto da un incendio appiccato da un contingente nazi-fascista, come rappresaglia per la cosidetta "Battaglia di Allegrezze"
Documenti e testimonianze tratte da:
https://livesanta.it/wp-content/uploads/2022/07/Berto-e-la-Battaglia-di-Allegrezze.pdf
Agosto 1944. I tedeschi affiancati dalle Brigate Nere e dalla Brigata Monterosa, iniziarono il rastrellamento delle valli e delle cime nella Val d'Aveto, e venne quindi deciso di non aspettare che portassero a termine le loro manovre concentriche, bensì tentare almeno di attaccarli mentre erano ancora in movimento.
Dell'attacco venne incaricato il Distaccamento "Forca" ed il Comandante Vinicio "Dedo" Rastrelli, intorno alle ore 18,00, diede inizio alla battaglia con un colpo di fischietto. I 29 partigiani fermarono l'avanzata di circa 500 tedeschi i quali, abbandonando sulla strada armi, armi, munizioni e trentacinque morti, fecero ritorno alle loro caserme, permettendo così alle forze partigiane presenti nella zona di mettersi in salvo uscendo dall'accerchiamento.
Agli ordini di "Dedo", oltre a "Banfi", "Nacche", "Franco", "Mingo", "Moro", "Tegola", "Cucciolo", "Bill", "Bosco", "Stringa", "Carnera" che rimase ferito ad un braccio, e altri 14, vi erano i tre sammargheritesi Ottavio"Giorgio" Pintore, Silvio "Marco" Gambino e Silvio "Berto" Solimano, medaglia d'oro al valor militare, che rimase ucciso nell'azione.
Io tornavo da Cichero con altri otto uomini per rinforzare un po’ il Distaccamento del Forca, ma allora non si chiamava ancora così, il nome glielo abbiamo messo dopo. Arrivando su dalle baracche - quelle nelle foto che le ho portato a far vedere - ho avuto l'occasione di conoscere Berto. Eravamo circa una trentina sull'Aiona, io, Berto e gli altri ragazzi che hanno partecipato alla battaglia di Allegrezze. Eravamo giovani, insieme ridevamo, scherzavamo e a volte venivamo presi dalla nostalgia. Ricordo che Berto non era un tipo di compagnia, stava sempre per conto suo, era un solitario. Comunque io l'ho conosciuto lì!
Siamo stati in quella zona da metà giugno fino al 27 agosto 1944, il giorno della battaglia di Allegrezze, quando poi lui morì. Sull'Aiona ricevevamo tutti i lanci degli americani; abbiamo fatto un bel lavoro in quel periodo! Poi c'è stato l'episodio del rastrellamento d'agosto del 1944. Sapevamo che ai laghi delle Lame era in corso una puntata dei nazifascisti durante la quale c'erano stati già dei feriti fra le nostre file, così mettemmo due sentinelle dal Passo del Bocco e, con tutto il distaccamento, facemmo un fronte verso i Laghi di Giacopiane. Eravamo ben forniti di armi perché le ricevevamo grazie ai lanci degli americani.
La sera purtroppo le due sentinelle che avevamo messo di guardia dal Passo del Bocco si addormentarono, e da lì salì una compagnia, riuscì a passare e ci venne alle spalle. Trovandoci quindi praticamente in mezzo al nemico dovemmo ritirarci e ci dirigemmo verso Santo Stefano d'Aveto. Lì c'era una gran confusione. Chi scappava da una parte, chi scappava dall'altra! Ricordo che ad un certo punto - ci trovavamo su di un prato - Berto cominciò a fare la ramanzina a tutti perché secondo lui avremmo dovuto combattere, anziché ritirarci, e voleva che affrontassimo il nemico. Vicino a me c'erano Marco (Silvio Gambino) e Giorgio (Ottavio Pintore). Io mi rivolsi a loro dicendo: "Questo ragazzo di Santa Margherita è così coraggioso?" e Giorgio mi rispose "Nuiatri de Santa Margheita semmu feti cuscì!" (noi di Santa Margherita siamo fatti così!). Berto ci chiese: "Allora andiamo o non andiamo ad affrontarli?" Ci consultammo quindi io esclamai: "Se ci va lui ci vado anchi'io!". Anche Giorgio e Marco furono d'accordo.
Alla fine del distaccamento eravamo in 25 o 26, ma a Santo Stefano si trovavano migliaia di persone tra gente del posto, sfollati e "mezzi partigiani". Poi arrivarono Banfi (Eugenio Sannia), che era un capitano dell'esercito, Franco (Egidio
Maltese), più anziano di noi, che era un antifascista della prima ora, e Moro (Otello Pascolini) e si unirono a noi. Erano uomini di esperienza! Franco e Moro avranno avuto circa 37 anni e Banfi una trentina.
Facemmo un fronte lì ad Allegrezze e ci appostammo; andammo nel bosco verso le ore 10,50 del mattino, aspettammo parecchio, nascosti e in silenzio. Verso le 16,00 arrivò Franco con un po’ di pane e lo divise con noi: erano due o tre giorni che non si mangiava. In testa al fronte che avevamo fatto c'era la sentinella che sorvegliava con i binocoli la compagnia dei nazifascisti che veniva in su.Li controllava minuto per minuto e ci avvisava degli spostamenti; infatti verso le 18,00 ci comunicò che erano vicinissimi. Noi avevamo l'ordine di intervenire appena la mitraglia di Stringa sparava ed eravamo d'accordo di buttare giù prima tutte le bombe a mano. Appena Stringa cominciò a sparare buttammo le bombe (erano circa 90) e poi scaricammo addosso alla compagnia nemica tutti i caricatori che avevamo. Però l'ordine era di attaccare, sparare e ritirarci subito. Cioè scappare! E così abbiamo fatto. La battaglia sarà durata una decina di minuti, ma sulla strada rimasero molti morti. Era un brutto vedere! Non sembravamo più uomini, ma bestie! Poi ci radunammo vicino al ponte, nel punto che avevamo fissato. Berto però non voleva che ci ritirassimo, disse che avremmo dovuto prendere tutte le armi che il nemico aveva lasciato sul campo ed iniziò a raccoglierle. Carnera (Dante Arena) gli andò dietro e poi anche noi li seguimmo.
Mentre scendevamo catturammo cinque soldati. Berto era sempre in testa che raccoglieva armi, ma andò troppo avanti e si scoprì. Io morire Berto non l'ho visto, ma ho visto Carnera cadere ferito, colpito ad una spalla.
A quel punto tornai indietro per chiamare il grosso dei compagni perché venissero ad aiutarci.
Carnera riuscimmo a portarlo in salvo, ma per Berto non ci fu nulla da fare!
Se non fosse stato per lui la battaglia di Allegrezze non si sarebbe fatta!
Il corpo di Berto poi rimase due o tre giorni sul ciglio della strada, come riferì anche il Prof. Vittorio Podestà.
Il sottoscritto dichiara che la sera del 27 agosto 1944 alle ore 17,00 circa venne prelevato (arma alla mano) da due soldati accompagnati da due borghesi che erano stati prelevati in rastrellamento da una colonna di Nazi-Fascisti (Gruppo Cadòlo di Esplorazione della "MONTE ROSA") ed invitato a recarsi ad Allegrezze D'Aveto per prestare soccorso medico a feriti nel combattimento in corso con un gruppo di Partigiani che aveva aggredito la colonna stessa. - Il sottoscritto era alla Villa D'Aveto dove aveva la propria famiglia sfollata, e da pochi giorni era venuto a visitarla. - Il sottoscritto si fece accompagnare dal figlio del suo padrone di casa Sig. Zaraboldi Costantino ed insieme ai militari e borghesi suddetti si recò ad Allegrezze che dista circa un Kl.m. : Ferveva sempre il combattimento.- Ivi giunto, trovò il Parroco don Primo Moglia dal quale apprese che lui stesso era stato preso in ostaggio dal Comandante della Colonna di Nazi-Fascisti e che mentre veniva condotto a Santo Stefano con la stessa, aveva inizio un fiero combattimento con i Partigiani, per cui la Colonna stessa era stata decimata ed aveva dovuto retrocedere : Il Parroco don Primo allora aveva disposto il raccoglimento dei feriti e dei morti improvvisando in casa sua (Canonica) l'infermeria.- Infatti io trovai nei vari letti e stanze, una quantità di feriti più gravi. - Pregai il Parroco disporre in modo che mi si aprisse la scuola di fronte alla sua Canonica per poter medicare e curare e ricoverare anche gli altri feriti che via, via affluivano portati dai borghesi.- Posso attestare che la Popolazione di Allegrezze guidata dal Suo Parroco fece miracoli in quella sera ed in tutta la notte
successiva, mettendo a disposizione i pagliericci e la biancheria occorrente a medicare ericoverare ben 37 feriti gravi e portare al cimitero sette morti.- Furono tutti medicati dal sottoscritto con l'aiuto della Popolazione ed in modo speciale del Parroco e di una donna che era stata presa in ostaggio certa Caprini Maria. Nella notte stessa, con l'aiuto
dell'interprete Tedesco P. Tomas ROCKERT, il sottoscritto poté ottenere dal tenente Tedesco delle SS che apparteneva al Comando della Colonna stessa, la promessa su Parola d'Onore dello stesso di liberare all'alba gli ostaggi presi e tra questi il Parroco Don Primo Moglia ed il giovane Sacerdote Don Giovanni Barattini di Alpicella: Tutto ciò in premio
dell'opera veramente encomiabile prestata da Don Primo e dalla Popolazione della Sua Parrocchia da Lui Guidata.- Infatti, all'alba del giorno dopo, prima di partire (il sottoscritto) per recarsi alla sua abitazione, si accertò personalmente che tale liberazione fosse mantenuta.-
Purtroppo, il giorno appresso, venne bruciato il Paese su ordine di un delinquente Italiano che comandava la Colonna: Maggiore Cadèlo, che infrangendo la parola d'onore con il sottoscritto impegnata in proposito dal tenente Tedesco dell S.S. a Lui in sott'ordine, mentre al mattino del 29 Agosto 1944 il Parroco Don Primo Moglia celebrava la Messa per la Festa della Madonna della Guardia presente tutti i suoi Parrocchiani, faceva circondare il Paese e appiccicava il fuoco a tutte le abitazioni della Frazione impedendo ai Parrocchiani dalle altre Frazioni di accorrere in aiuto per spegnere gli incendi. La Chiesa restò salva soltanto perché il Parroco si era adoperato come già detto per i feriti.- Così anche la scuola, la canonica e la stessa sua Vita.-
Due giorni dopo assieme al Parroco Don Primo Moglia, al Becchino, ed al Figlio del suo padrone di casa Sig. Costantino Zaraboldi, per iniziativa del sottoscritto, si recano in località "La Cava" per raccogliere il Cadavere del Partigiano Berto che per ordine del su menzionato Maggiore Cadèlo era stato lasciato sulla strada con minaccia per chi lo avesse toccato, e gli diedero onorata sepoltura.- La Cassa fu fabbricata dallo stesso Costante Zaraboldi gratuitamente.-
Un mese dopo, circa, tanto il sottoscritto (che aveva rimesso di propria tasca tutta la medicazione dei feriti stessi) che il Zaraboldi e il Padre Suo, furono arrestati assieme al Parroco di S. Stefano d'Aveto ed al Parroco di Pievetta, sotto l'accusa di collaborazione con i Partigiani, e non vennero fucilati assieme ad altri otto disgraziati del Luogo, solo perché nel frattempo il Maggiore Cadelo*(che aveva dato l'ordine di fucilazione) venne ucciso in imboscata dai Partigiani.-
Ci trovavamo sull'Ajona, con il Distaccamento "Forca". Era la sera del 26/8/44. Una staffetta avvertiva che preponderanti forze nemiche puntavano sulla zona di Santo Stefano allo scopo di eliminare le formazioni partigiane ivi esistenti.
Il nemico disponeva di circa 27.000 uomini fra quelli della Divisione Monterosa di stanza a Chiavari e di reparti nazifascisti. Le nostre formazioni si componevano di circa 800 uomini.
La sera stessa ci mettemmo in cammino verso Santo Stefano ove ci riunimmo con altri distaccamenti, pronti a fronteggiare il nemico e nella mattinata del 27/8/44 decidemmo che il nostro distaccamento rinforzato da alcuni elementi appartenenti al Comando di brigata, (dietro incitamento di Berto) si portasse nella zona di Allegrezze, onde attaccare l'avanguardia nemica (eravamo 29) alle 11 del 27 ci disponemmo a nord di Allegrezze, sul terrapieno che sovrasta la strada ed attendemmo fino alle 18,00, ora in cui avvistammo la colonna nemica; io Berto e Marco eravamo al centro dello schieramento; alla nostra destra era Dedo (che avrebbe dato l'ordine di fuoco con un fischietto) oltre Dedo era Mingo, con altri; alle nostre spalle era il francese Koko, con un mitragliatore.
Alle 18,00 precise il fischietto di Dedo dava inizio alla battaglia. Il nemico colto di sorpresa, si sbandava nel sottostante bosco abbandonando sulla strada , armi munizioni e 35 morti. Dopo qualche minuto di fuoco, si udiva diversi fischi di Dedo, era il segnale di accordo per riunirci tutti al centro e scendere sulla strada per attaccare definitivamente il nemico,
sorpreso e disorientato. Scesi sulla strada sparando qua e là per proteggerci da eventuali attacchi, vedemmo un sottufficiale tedesco con le mani alzate, che però nella sparatoria rimase anche lui ucciso; Berto sempre alla testa di noi si lanciava eroicamente contro il nemico ma veniva colpito in piena fronte mentre Carnera che lo affiancava restava ferito.
Individuato da dove partivano i colpi lanciammo alcune bombe a mano, il fuoco cessò. Bosco mi chiamava dicendomi che sotto il ponte nel fossato erano ancora nascosti dei nemici e dopo il lancio di una bomba a mano vedemmo spuntare un
bastone con un fazzoletto bianco in segno di resa. Gridammo di uscire, promettendo di non fargli del male; i nemici erano cinque, convinti uscirono. Mentre salivano sulla strada arrivava Koko il francese dicendo di allontanarci, dicendo che li avrebbe uccisi tutti, motivando l'atto con l'affermazione che gli avevano ucciso tutti i famigliari; Nel frattempo però arriva Moro che avendo intuito le affermazioni del francese gli grida: "Noi combattiamo per un mondo nuovo e se loro hanno sbagliato, noi non dobbiamo ripetere i loro errori altrimenti il nostro sacrificio sarebbe vano".
Ai cinque prigionieri non fu torto un capello, anzi nei tre o quattro giorni successivi riparatisi sul Maggiorasca essi ebbero il nostro stesso trattamento e quel poco che avevamo lo dividemmo con loro. In seguito vennero a far parte delle nostre file comportandosi da ottimi partigiani.